Katia Ricciarelli e Davide Garattini Raimondi vincono in pieno la sfida. Lo spettacolo nel suo insieme è stato molto gradito dal pubblico triestino, invogliato a tributare generosi applausi agli interpreti.
Dopo tanto battage mediatico sulla regia a quattro mani di Katia Ricciarelli e Davide Garattini Raimondi, ecco finalmente in scena I Puritani di Bellini, vetta fulgente del belcantismo italiano chiamata ad inaugurare, con due cast differenti, la stagione 2018-2019 del Teatro Verdi di Trieste.
Qualche novità sulla partitura
Esistono due versioni autografe de I Puritani, composte in contemporanea. La prima, andata in scena a Parigi nel gennaio 1835; la seconda, destinata al San Carlo di Napoli e rimasta ineseguita sino ad alcune recenti riproposte. Per l'occasione, Fabrizio Maria Carminati ha scelto la più nota; tuttavia ha voluto recuperare due rari passaggi solitamente omessi, ricavati dal manoscritto originale conservato a Firenze. Sono entrambi al III atto: il breve duetto “Da quel dì ch’io ti mirai” di Elvira e Arturo, prima del celeberrimo “Vieni fra queste braccia”; e nella chiusa finale, un altro loro piccolo dialogo canoro, seguito da un assaggio di variazione su“Ah sento o mio bell’angelo”.
Confermando la passione per i dettagli e per le esecuzioni integrali – con tutti i da capo ripresi – la concertazione di Carminati ancora una volta si rivela nondimeno un esempio di finezza e di sensibilità, con tempi intelligenti, molteplicità di colori e proprietà di stile; precisa ed equilibrata in ogni momento, pure nei complessi concertati, organizzati in modo impeccabile. Ed a quanto pare l'Orchestra ed il Coro del Verdi lo assecondano fedelmente e senza sbandamenti.
Voci e belcanto
Il cast che incontriamo vede come luminosa Elvira Elena Moşuc, che aveva saltato la prima per motivi di salute. I suoi punti di forza sono il timbro accattivante, morbido e chiaro, da vero soprano leggero; ora soave, ora più corposo, ma sempre fascinoso. La tecnica puntuale le permette un suono incisivo, sempre sul filo dell'affettuosità, e ben proiettato in avanti; la padronanza della coloritura le fa eseguire gli abbellimenti con leggerezza e fine musicalità. Antonino Siragusa affronta Arturo senza taglio alcuno, con da capo variati: con queste premesse specie il III atto diviene un vero tour de force. Se la cava da par suo, senza palesare fatica, cantando tutto – ma proprio tutto, fa sovracuto compreso – di quanto scritto in tale parte.
Bravissimo in questo, resta però essenzialmente un grande tenore rossiniano, dal timbro lucido e metallico, al quale mancano la morbidezza, l'accento, l'intensità e la sostanza – specie nei suoni mediani - richiesti al tenore romantico; e mancando pure le adeguate sfumature, né il piglio eroico, né i risvolti sentimentali della figura emergono appieno. Mario Cassi configura un Riccardo un po' a senso unico, energico e muscoloso – anche troppo, talvolta - con qualche disequilibrio tra acuti generosi e bassi non tutti corposi, che lambisce appena l'intensità emotiva di «Ah! Per sempre io ti perdei». Alekey Birkus domina la scena più con l'imponenza della figura che con l'incisività del canto; Nozomi Kato è un'Enrichetta raffinata; ineccepibili Giuliano Pelizon e Andrea Binetti nei panni di Gualtiero e di Bruno Roberton.
Vediamola questa regia...
Katia Ricciarelli e Davide Garattini Raimondi vincono in pieno la sfida d'una trama che poco offre alla fantasia: impostano una regia tradizionale, sensata e rispettosa del libretto, conferendo fluidità ad una vicenda di per sé alquanto statica. E curano con massima attenzione la recitazione degli interpreti, non intralciando mai il loro compito con trovate bizzarre. Gran merito, questo. La pomposa scenografia di Paolo Vitale, con buona pace delle didascalie, offre un'unica visione, quella di un imponente edificio in costruzione, con scale e ponteggi a dar profondità; a salvarci dalla monotonia, luci e sfondo che variano in continuazione.
I costumi di Giada Masi, accuratamente disegnati, ci immergono esattamente nell'epoca della Prima rivoluzione inglese.
Lo spettacolo nel suo insieme è stato molto gradito dal pubblico triestino, invogliato a tributare generosi applausi agli interpreti.